La psicologia dei confini chiusi - 3 La solidarietà

Someone makes a halt gesture

Salvo le eccezioni previste dalla legge, arrivare in Australia o partire è vietato dal 20 marzo 2020. Source: Getty Image/ArtistGNDphotography

Questo è il terzo episodio della serie "La psicologia dei confini chiusi", realizzata con Stefania Paolini, Professoressa Associata di Psicologia Sociale e Interculturale all’Università di Newcastle.


In questo episodio discutiamo di come gestire il senso di non essere compresi e supportati da chi ci sta attorno.

Non tutti vedono il mondo allo stesso modo

La chiusura dei confini internazionali appare godere in tutti i sondaggi di un vasto supporto da parte degli australiani.

Chi avverte maggiormente la separazione dalla famiglia di origine, perché mantiene ancora legami fondamentali con il paese di origine, si sente a volte poco capito, poco sostenuto nella sua sofferenza

Amici, familiari e anche altri immigrati più o meno recenti possono riconoscere l'efficacia della chiusura dei confini e considerare la lontananza un giusto prezzo da pagare.
Secondo Stefania Paolini, Professoressa Associata di Psicologia Sociale e Interculturale all’Università di Newcastle, un passaggio fondamentale da compiere per chi si trova in questa situazione è “cercare di capire l’origine di questa differenza di sentimenti e di visione”.

Abbandonare un punto di vista egocentrico è un passo fondamentale riconosciuto dalla psicologia evolutiva, il momento in cui ad una certa età ci si accorge che il mondo non è visto dagli altri con la stessa nostra prospettiva.

Questa sfida non si esaurisce nei primi anni di età, ma prosegue per tutta la vita.
Viviamo tutti dentro delle bolle psicologiche, in cui abbiamo un’esperienza interiore molto ricca, che però può essere condivisa con gli altri solo in parte.

Le bolle a volte si incontrano e sovrappongono

L’empatia è definita da Stefania Paolini come il passaggio che ha luogo “quando riusciamo a vedere il mondo attraverso la prospettiva degli altri e ci mettiamo nella loro posizione a livello emotivo”.

Se questo a volte avviene in modo naturale, secondo Paolini, lo può fare solo chi ha “tantissimo spazio mentale” e “capacità di dare attenzione all’altro”.

Queste condizioni possono non essere disponibili a tutti, magari perché la vita dirotta la nostra attenzione a molte altre situazioni, molte altre persone.

Gli altri non ci possono salvare

Secondo Paolini, “spesso a contribuire al nostro senso di sofferenza e isolamento, al nostro non sentirci capiti dagli altri, è il fatto che esiste una sottile aspettativa, un desiderio che l’altro ci possa salvare dalle nostre difficoltà”.
Questo proiettarsi agli altri per risolvere i nostri problemi non ci fa necessariamente bene, perché crea un’aspettativa che è difficile da soddisfare.
Emancipare il nostro sé ci fa diventare più resilienti, facendoci rendere conto che siamo “viaggiatori paralleli in questo percorso che è la vita”, dice la professoressa Paolini.

"Non siamo solo noi a soffrire per la pandemia, per la chiusura dei confini, per le restrizioni che il lockdown può creare", prosegue la professoressa Paolini. "Ognuno in modo diverso è impattato da queste difficoltà."

La scelta dei compagni di viaggio

Le reti di supporto sono fondamentali, e Stefania Paolini sottolinea l'importanza sia dei network a cui possiamo accedere in presenza, sia di quelli disponibili soltanto a distanza.

Per chi è emigrato in Australia da un altro Paese, specie chi lo ha fatto in tempi relativamente recenti, spesso gli affetti fondamentali apparterranno al secondo gruppo, accessibili soltanto via telefono o online, mentre relazioni più recenti possono essere coltivate di persona.
La ricerca, secondo Paolini, dimostra come abbiamo bisogno di entrambe le reti, e offre suggerimenti nell'identificare le persone che possono offrire un supporto migliore nei momenti di difficoltà e incertezza.

Sono le persone più simili a noi nella loro "traiettoria di vita" quelle che più probabilmente saranno in grado di prestare un aiuto efficace.

Questo può includere persone con un retaggio culturale simile al nostro, o altre che in un determinato momento si trovano in condizioni simili alle nostre.
Una neomamma potrebbe infatti trovare un valido supporto in un'altra neomamma, anche con poche altre caratteristiche in comune.

In aggiunta, collegarsi o ricollegarsi ad altre persone con un background italoaustraliano potrebbe essere d'aiuto, poiché trovarsi in difficoltà simili può portare ad un maggior grado di comprensione e di identificazione emotiva.

Un consiglio di lettura

Stefania Paolini suggerisce nel nostro podcast la lettura di un libro pubblicato da SAGE nel maggio 2020 a cui hanno contribuito, assieme ad altri, Jolanda Jetten e Alex Haslam della University of Queensland.

Nel libro intitolato , scaricabile gratuitamente, si parla di come la resilienza sia "sostenuta dal nutrire legami con persone che condividono con noi qualche appartenenza a gruppi sociale e culturali più ampi".

Ascolta il terzo episodio della serie La Psicologia Dei Confini Chiusi con Stefania Paolini
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La psicologia dei confini chiusi - 3 La solidarietà

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17:09
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